Ingresso dell'Abisso SpaurassoSe andiamo a vedere l’articolo apparso nel notiziario della Federazione Speleologica Veneta n. 3 del 1995, si può leggere la storia esplorativa di questo abisso che già allora era profondo 400 metri e sul cui fondo avevamo detto c’era ancora da vedere molto e quindi sognare nuove esplorazioni; non siamo più tornati su questo fondo, ma siamo stati partecipi di grandi esplorazioni lo stesso ed ora ve ne voglio raccontare le storia.
Ricordate la grande cengia nel P 170 (Pozzo Alessandro Scolaro) dove siamo atterrati pensando che fosse impossibile che la grotta finisse lì visto gli immensi ambienti in cui ci trovavamo e nella quale c’è anche la partenza del P 100 ?. Ebbene, quando ci siamo arrivati la prima volta 
abbiamo notato un buchetto insignificante ad un metro di distanza dalla corda e ci abbiamo pure buttato un sasso, senza però andarci vicino con la faccia e sentire quindi la forte corrente d’aria che ne usciva; ci siamo detti che lo avremmo visto in futuro perché per il momento avevamo cose ben più grosse da esplorare, ma ci siamo sbagliati.
Siamo scesi dopo molto tempo solamente per fare un po' d’allenamento e visto che eravamo lì ci siamo detti "ma si, diamogli un’occhiata" senza sperare in nulla di buono, ma solamente dopo due metri abbiamo iniziato ad urlare di gioia vedendo un bel meandro d’erosione che andava avanti sprofondando sempre più in basso lasciando intravedere delle grandi marmitte piene d’acqua e facendoci fare qualche acrobazia in alcuni punti nei quali qualche corda sarebbe stata molto utile. Ci siamo arrestati alla sommità di un grande pozzo che abbiamo valutato attorno ai trenta metri, ma non avendo con noi nessuna corda abbiamo dovuto fermarci li.
Tornando sui nostri passi per raggiungere l’uscita, abbiamo pensato di non dire niente a nessuno del gruppo per fare una sorpresa il martedì sera in magazzino e ci siamo riusciti in pieno, tenendo i nostri compagni con il fiato sospeso perché nessuno credeva che le bottiglie di vino e le pastine che avevamo portato fossero per il mio compleanno.
La volta successiva siamo scesi con le corde ed abbiamo attrezzato il meandro (Ololejuuu) con dei corrimano nei punti più pericolosi e quando è stato il momento di armare il P 34 ci siamo trovati a dover scegliere tra due punti che davano accesso al pozzo, ma quando il primo ha iniziato la discesa ci siamo accorti che avevamo scelto il punto più difficili dove si doveva fare un grande pendolo per poi proseguire Sopra il primo Pozzola discesa, ma ormai, visto che eravamo in ballo abbiamo continuato per quella via ed abbiamo raggiunto il fondo. Qui abbiamo dato il "libera" al nostro compagno che però non stava molto bene e ci ha gridato che iniziava a risalire; noi gli abbiamo risposto che davamo solamente un’occhiata e poi lo avremmo raggiunto. Alla base del P 34, una piccola sala raccoglie l’acqua del meandro soprastante ed una diaclasi ci porta in un’altra sala nella quale inizia un meandro con la classica sezione a buco di serratura scavato in una roccia molto strana perché si sgretola sotto il nostro peso e ci rende pericolosa la progressione. Stando molto attenti avanziamo per circa settanta metri senza mai trovare strettoie o punti difficili e sbuchiamo alla sommità di un pozzone enorme che ci fa sentire il cuore in gola quando gettiamo il solito sasso per valutarne la profondità, ma dobbiamo raggiungere il nostro compagno che per il nostro egoismo sta risalendo da solo con i suoi malanni. Per fortuna si trattava solamente un mal di testa e siamo riusciti ad uscire con calma senza grossi problemi.
Questa volta stiamo scendendo portandoci dietro la linea telefonica e decidiamo di cambiare il punto di partenza del P 34 per renderne più facile la progressione ed evitare il pendolo, quindi è la volta di preparare per la discesa il pozzo trovato l’ultima volta. E’ tutta la settimana che ci chiediamo se la roccia che abbiamo trovato in quella zona sarà buona per piantarci dei tasselli ed ora che ci siamo iniziamo a batterla con il martello per sentirne la consistenza ma per fortuna le nostre paure si sono dimostrate inutili, perché troviamo subito una placca molto buona proprio alla partenza e dopo aver frazionato sei metri più sotto per cercare di evitare la piccola cascatella che scende si inizia la discesa sperando che la corda basti per arrivare in fondo. E’ strano, ma anche quando si è abituati a scendere pozzi su pozzi, per quanto profondi essi siano, se li conosci non ti fanno nessuna paura, ma la sensazione che si prova in ogni pozzo nuovo ti fa tornare indietro con il tempo fino a quando hai fatto la tua prima discesa ed allora cominci a pensare se il materiale che usiamo normalmente possa sopportare il nostro peso e ti vedi che stai volando per poi schiantarti al suolo oppure hai paura che la corda ti scivoli dalle mani soprattutto quando è nuova e scorre bene nel discensore ed ecco che si diventa delle lumache anche in discesa, poi arrivi in fondo e non ti ricordi com’è fatto il pozzo e se ci sono delle finestre o degli arrivi d’acqua.
08 pozzo_alessandro_parte_bassaSiamo alla base del P 60 (Gran Babau) ed iniziamo subito a cercare una prosecuzione che essendo molto grande ed evidente si fa trovare subito; si tratta di un P 20 posto proprio sotto ad un enorme monolito che si innalza nel P 60 per un ventina di metri. Decidiamo di non armare subito, ma di dare un’occhiata in giro per vedere se c’è dell’altro da esplorare e subito troviamo un laminatoio con della sabbia per terra che ci fa strisciare per una ventina di metri per poi concederci il gusto di avanzare gattoni e poi in piedi. Ad un certo punto, il meandro che nel frattempo si è trasformato in galleria, va ad incrociare un’altro meandro che a monte si trasforma ancora in laminatoio con la sabbia per terra che basterebbe spostare di lato per avanzare e a valle ci siamo fermati in una piccola strettoia che si potrebbe allargare facilmente spostando qualche sasso, ma non sapendo quanta strada abbiamo fatto e nemmeno quanto tempo sia passato da quando ci siamo infilati in questo meandro decidiamo di tornare indietro perchè i nostri compagni ci stanno aspettando sopra il P 60. Quando ci uniamo a loro ci fanno notare che li abbiamo fatti aspettare per più di un’ora ed allora ci chiediamo: quanta strada abbiamo fatto in quel meandro?; ancora oggi non lo sappiamo perchè non abbiamo più avuto l’opportunità di tornarci visto quello che leggerete più avanti.
La partenza del P 20 la lasciamo armare ad un giovane del gruppo finché riusciamo a tenerlo d’occhio, ma poi dopo lo scivolo iniziale interviene uno di noi più esperto per fare un frazionamento spostato che ci consente di andare dritti fino in fondo, dove ci aspettiamo tutti prima di dare sfogo al nostro istinto di esploratori; l’ultimo non fa in tempo a toccare terra che come dei cani segugi iniziamo ad ispezionare tutta la base del pozzo infilandoci a destra e a sinistra e sotto e sopra ma con scarsi risultati. Finalmente si riesce ad intravedere al di la di un buchetto arieggiato ma molto stretto, una saletta abbastanza grande e notando che si trova in direzione dell’unico punto che non abbiamo ancora guardato perchè è sotto ad un forte stillicidio decidiamo di bagnarci per dare un’occhiata. Scendiamo in fretta e furia una spaccatura profonda circa tre metri e ci troviamo nella saletta vista attraverso il buchetto arieggiato e li sentiamo un forte rumore d’acqua corrente provenire da una diaclasi profonda quattro metri scesi i quali, passando sotto ad un piccolo laminatoio andiamo a sbucare nel mezzo di una galleria sotto la quale vediamo un torrente che scorre tra marmitte e cascatelle provocando un rumore assordante (Lunga via del Frastuono). La nostra euforia è alle stella e non sappiamo se andare a monte o a valle, ma poi la ragione prevale e naturalmente decidiamo di andare verso il basso. Anche qui ci alterniamo alla testa della comitiva, avanzando allegramente tra marmitte e piccoli saltini, ma all’improvviso ci dobbiamo fermare alla sommità di un pozzo cascata profondo una quindicina di metri che lascia intravedere una grande sala 15 bivaccoda dove echeggia ancor di più il rumore dell’acqua che si infrange al suolo. Decidiamo di attrezzare subito il pozzo per la discesa, e ad un certo punto, tra chi pianta spit e chi ritorna indietro a recuperare i sacchi lasciati per scaramanzia, c’è qualcuno che pensa di continuare ad avanzare sulla volta del meandro che sprofonda nella grande sala, e che non sembra molto pericoloso da attraversare con le gambe divaricate. Dopo lo sfondamento il pericolo non esiste più ed anche il rumore dell’acqua è sparito; ci troviamo in una zona fossile discendente con un saltino che scendiamo facilmente in libera e dopo un passaggio stretto e bagnato andiamo a sbucare nella parte opposta della sala dove vediamo i nostri compagni tutti indaffarati a piantare spit e a fare nodi alle corde. La cosa più importante che non ho ancora detto è che siamo finiti alla base della sala, quindi non serve nemmeno mettere la corda, che poi messa dove la si stava mettendo serviva giusto a fare una doccia fredda. Nella sala vediamo subito che l’acqua si infila in una stretta spaccatura per poi fare un’ulteriore salto di quindici metri, ma scendere da quella parte sarebbe da masochisti, perchè è molto stretto e la doccia sarebbe assicurata; per fortuna riusciamo a bypassare il tutto attraverso un comodo meandro laterale che ci fa sbucare in una finestra posta ad una decina di metri di distanza dalla cascata, dove, dopo aver armato la partenza con due spit e messo un deviatore cinque metri più sotto, riusciamo a mettere piede nella nuova sala, che poi non è altro che un allargamento del meandro che stiamo percorrendo. Più avanti un nuovo sprofondamento del meandro che attrezziamo con l’unico moschettone rimastoci per scendere gli ultimi dieci metri di questa meravigliosa giornata in explor. Il meandro, o forse è più appropriato chiamarla galleria, continua con una serie di saltini che osiamo superare in libera anche nei punti in cui gli spruzzi d’acqua vengono assorbiti dalle nostre tute non più impermeabili e ci fermiamo alla sommità di un nuovo salto di quindici metri dove, davanti a noi vediamo solo nero e sotto, con la luce dell’elettrico riusciamo a malapena ad illuminare la sala a - 500.
La settimana che deve trascorrere prima che possiamo ritornare la sotto sta passando molto lentamente e tra noi continuiamo a telefonarci per fare mente locale su cosa crediamo di aver intravisto sullo sfondo dell’ultimo pozzo che ha frenato la nostra esplorazione; c’è chi crede di aver visto un laghetto, oppure chi ha visto un’enorme galleria che saliva dalla parte opposta, ma sappiamo bene che i sogni non sono realtà e quindi ci limitiamo a sperare che in qualche modo la grotta prosegua, portandoci sempre più profondamente nel mondo dei sogni.
-500Finalmente è arrivato il momento di tornare in fondo a vedere quello che per tutta la settimana abbiamo sognato, ma prima ci proponiamo di attrezzare per bene tutto quello che abbiamo esplorato la settimana scorsa, in modo di rendere sicura e semplice la nostra progressione e soprattutto per evitare di rimandare sempre alla prossima volta la sistemazione degli armi, che altrimenti rimarranno tali per sempre. Nella sala che la volta scorsa siamo riusciti a bypassare passando per la strettoia bagnata mettiamo una corda a mo’ di teleferica (sala della teleferica) per evitare gli spruzzi della cascata e nel pozzo sotto, quello che parte dalla finestra, cambiamo il deviatore con un frazionamento perchè sopra la corda andava a sfregare su di un piccolo spuntone di roccia. Doppiamo l’armo del P 10 successivo ed attrezziamo pure tutti quei saltini che abbiamo già sceso in libera per poi arrivare sopra gli ultimi quindici metri di verticale che ancora adesso ci fanno stare con il fiato sospeso; qui le condizioni sono tali da permetterci di lavorare tutti assieme uno sotto l’altro senza nessun rischio di caduta sassi e quindi riusciamo in breve tempo a toccare i -500 tanto sognati quanto guadagnati. Ci rendiamo subito conto che quello che avevamo intravisto la settimana scorsa era vero, perchè atterriamo vicino ad un piccolo laghetto e dalla parte opposta, in alto, parte una galleria molto grande, che però non andiamo a vedere subito, perchè preferiamo seguire il corso dell’acqua che si infila in un meandro molto ben eroso e che dopo una decina di metri si butta in un nuovo salto di circa venti metri. Finché uno di noi pianta gli spit altri salgono verso la volta del meandro e scoprono che la grande galleria vista prima non è altro che la parte fossile del meandro che abbiamo percorso sotto e che quindi la strada che stiamo facendo e la sola ed unica probabilità di prosecuzione che ci sia rimasta. Dopo la partenza del pozzo si deve fare un frazionamento seguito da un deviatore che ci aiutano non poco ad evitare l’acqua, e sotto ci infiliamo in uno stretto meandro per seguire il percorso idrico che dopo una quarantina di metri sprofonda in una stretta spaccatura per noi impraticabile; per fortuna sopra di noi la zona fossile si concede con un’enorme galleria che percorriamo facendo molta attenzione a dove mettiamo i piedi a causa di molte lame sottili che potrebbero cedere sotto il nostro peso. Dopo un centinaio di metri il soffitto si abbassa all’improvviso per lasciarci solamente uno spiraglio di mezzo metro da attraversare quasi in ammollo, per poi rialzarsi dopo tre metri e farci prendere un colpo; davanti a noi la grotta chiude con un muro di roccia compatta ed impenetrabile. Si, sembrava fosse proprio così prima che facessimo un paio di passi avanti e trovare il passaggio sulla nostra sinistra molto ben nascosto da una leggera curvatura della parete. E’ una porta che da accesso ad una galleria molto ampia e ben percorribile che noi esploriamo con molta calma per paura che possa terminare molto presto. Altri cento metri e la galleria inizia a salire leggermente ed il soffitto si avvicina sempre più a noi costringendoci ad avanzare chini per alcuni metri fino ad un restringimento al quale diamo solamente una piccola sbirciata, perchè è dalla base dell’ultimo pozzo che non vediamo gli altri due della squadra rimasti indietro a rilevare. Ritornando sui nostri passi per raggiungerli, curva dopo curva ci accorgiamo di aver fatto veramente molta strada e riusciamo addirittura ad evitare la parte stretta del meandro che abbiamo percorso all’andata rimanendo nella zona fossile che, con un piccolo saltino di quattro metri va a finire alla base dell’ultimo pozzo. Qui troviamo i nostri compagni e li invitiamo a percorrere la parte nuova che abbiamo appena scoperto, mentre noi nel frattempo, dopo esserci rifocillati un po’ riprendiamo ad eseguire il rilievo.
Dopo un’altra settimana insonne ritorniamo sul fondo portando avanti il rilievo fino al restringimento e notiamo con immensa soddisfazione che abbiamo percorso duecento metri di galleria dalla base dell’ultimo pozzo. Qui, come ci eravamo prefissati prima di entrare, smettiamo di rilevare ed iniziamo la nuova esplorazione oltre il restringimento che non è poi molto stretto, soprattutto dopo aver tolto un piccolo naso che ci dava proprio fastidio, e di nuovo percorriamo una grande galleria che curva dopo curva inizia a sprofondare dando vita ad un meandro di erosione con la volta freatica che ci rende molto comoda la progressione stando però molto attenti a non scivolare perché in alcuni punti ci troviamo anche a quindici metri dal pelo dell’acqua e cadere sarebbe una cosa assai tragica. Anche questa volta percorriamo all’incirca duecento metri e poi un piccolo pozzetto semi ostruito dal alcuni massi ci porta in una saletta, nella quale vediamo l’acqua che si intrufola nella ghiaia e tutto attorno a noi solamente roccia, tranne in un punto: una diaclasi larga poco più di un metro ed alta cinque o sei, lascia intravedere sopra ad essa uno spazio enorme tutto avvolto nel buio totale e dal quale sentiamo echeggiare il rumore di una cascata. A volte l’entusiasmo dell’esplorazione fa perdere la ragione, tanto che, senza accorgercene, ci ritroviamo a risalire la diaclasi senza nessuna sicura e senza pensare che farsi male a quella profondità avrebbe voluto dire smuovere tutte le squadre del soccorso speleologico del veneto e di altre regioni vicine. Il primo ce la fa e subito dopo aver lanciato un grido di gioia mista a paura inizia ad attrezzare la diaclasi con una corda, per far si che gli altri possano salire in totale sicurezza. Quando siamo saliti tutti ci troviamo sopra ad una cengia molto grande sotto la quale un salto di quaranta metri ci porta in un salone di crolla molto vasto, dove purtroppo non troviamo nessuna prosecuzione. Solamente una stretta fessura sotto la cascata ci lascia qualche speranza, ma per il momento non abbiamo nessuna voglia di infradiciarci la tuta, anche perché sopra il salone, facendo una traversata aerea, abbiamo molta fiducia di rinfilarci nel meandro che abbiamo appena lasciato e quindi il salone potrebbe essere un ringiovanimento della grotta. Staremo a vedere.
Attualmente le esplorazioni sono ferme da molto tempo a causa del maltempo e dai molti impegni del nostro gruppo, ma appena avremo un po’ di tempo libero vi assicuriamo che lo Spaurasso riprenderà a stupirci con i suoi effetti speciali; ne siamo certi.
L'unica cosa che siamo riusciti a fare in questo periodo è stata la messa in posa di una grata all'ingresso, per evitare che i pastori che lavorano lassù nel periodo estivo lo possano chiudere per paura che qualche pecora vi possa cadere dentro, ed anche perché può risultare pericoloso per gli escursionisti che, vedendo la scala metallica del primo pozzo, incuriositi vi si possano addentrare con il rischio che si facciano male (e poi chi li trova più?). Purtroppo qualcuno, (speleologo o recuperante) ha tolto dei sassi che si trovavano attorno alla grata e si è addentrato nella grotta lasciandoci il compito di risistemare il tutto.

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