11
Marzo
2014

GRANDE "BINTLOCH"

La grotta sta diventando un grande abisso

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Domenica 16 febbraio 2014. Pronti, si parte per l’ennesima uscita al Bintloch. Sono della partita, oltre al sottoscritto, Andrea Grigoletto (Icio), Gianpaolo Scalettari (Doc) e Riccardo Cantele (Poja), Mirco Calgaro (Micro), Francesco Minuzzo e Moreno Cocco. Appuntamento in piazza a Enego per le 8,30. Io e Francesco saliamo da Gallio dove ci aspettano Mirco e Moreno. Piove a dirotto e speriamo che più in quota l’acqua si trasformi in neve, meglio la neve che la pioggia ci diciamo per consolarci. Ieri ho chiamato in Municipio a Enego per informarmi sull’agibilità della strada per Frizzon. La strada è aperta e perfettamente transitabile anche senza catene da neve. Perfetto. Raggiunta la Chiesetta di Frizzon, semisepolta dall’abbondante manto nevoso, riusciamo ad avvicinarci ulteriormente al Bintloch. La strada è infatti stata sgomberata dalla neve fino alle baite che precedono il bosco. Oggi va tutto di lusso, in più ha smesso di piovere così possiamo vestirci in piena calma. Dal magazzino abbiamo portato con noi il parco ciaspole. Alcuni le usano, altri approfittano delle impronte lasciate dai primi per non sprofondare per più di mezzo metro nella coltre bianca. Raggiungiamo in breve l’ingresso dell’abisso, sì perché ora possiamo chiamarlo proprio così, abisso. Sembra un sogno ma, invece,       è una bellissima realtà. Ci dividiamo in tre squadre, Mirco e Andrea eseguiranno il rilievo topografico della grotta, Gianpaolo si occupa delle riprese video con la sua Sport Camera posizionata sul casco, Riccardo invece scatterà più foto possibile, grazie anche ad una grande scorta di batterie che gli ho fornito assieme alla mia Vivitar. La scheda memoria di tre giga ci garantirà centinaia di scatti. Io faccio da speaker e da uomo flash. Oggi utilizzo la mia nuova lampada Led CREE da 3800 Lumen ed è un vero spettacolo quanto l’aziono al massimo della potenza. Una luce incredibilmente diffusa illumina come mai prima la grotta che appare ancora più bella. E pensare che la lampada è costata solo 35 euro. Un prezzo eccezionale e una resa altrettanto spettacolare. Moreno e Francesco, i nostri specialisti in disostruzione ed elisione frane, si fermeranno ad allargare la parte terminale del “Tritacarne” e consolideranno la frana con il fissaggio di una catena imbrigliatrice. Io, Doc e Poja in breve tempo raggiungiamo Batman e Robin (Moreno e Francesco) che sono già pienamente operativi, visto che di tanto in tanto le pareti della montagna tremano. Decidiamo di concederci una pausa cicca sotto al Camino del Ghiro. Fu proprio il Doc nel giugno 2013 a incontrarsi faccia a faccia con il piccolo simpatico roditore che, dopo averlo fissato negli occhi per un attimo, schizzò via arrampicando a velocità supersonica il camino. Che esseri sono questi avrà pensato. Da dove vengono? Non si può più star quieti neanche sotto terra. Moreno e Francesco si danno un gran da fare, mentre sentiamo che Icio e Micro stanno misurando il Pozzo del Ponte e il Pozzo Moreno. Grazie al misuratore laser sono stati veramente veloci. Moreno ci chiama dicendoci che il lavoro di consolidamento è per il momento finito. La catena imbriglia perfettamente il masso che “regge” l’intera frana. Il cunicolo post frana è stato allargato ed è molto più agevole al passaggio rispetto alla precedente uscita. Superiamo i nostri amici e ci dirigiamo verso il Pozzo Francesco, sceso il 6 gennaio scorso assieme a Mike Andriollo e Monica Naletto. Bellissimo illuminarlo a giorno con la mia potente lampada. Raggiunta la base del salto di oltre 10 metri vaghiamo per la Sala Befana. Mostro subito a Doc e Poja la prosecuzione. Il Pozzo della Cesta viene attrezzato per bene dal Doc che scende per primo. La volta scorsa lo avevamo sceso in arrampicata, con corda ancorata su attacchi naturali. Io e Poja raggiungiamo Gianpaolo che sta già sbirciando nel buio che continua oltre l’orlo della cengia dove ha posato i piedi. “Incredibile” sussurra aggiungendo subito dopo “ varda che roba, varda che robaaaa”. Siamo elettrizzati, l’adrenalina a invade a decilitri le nostre vene. Ora tocca a me attrezzare il nuovo pozzo che abbiamo chiamato Pozzo del Volo. Grazie al trapano Uneo in breve l’armo è completato, doppiato con un cordino su una robusta cresta calcarea che assomiglia alla sagoma di un campanile tirolese. Pulisco il pozzo da alcune rocce in bilico e scendo nel vuoto per sei o sette metri. Atterro sull’ampio suolo della verticale che dopo alcuni metri scompare nuovamente inghiottito in un nero portale. Doc e Poja mi raggiungono e assime, ancorati a grappolo alla corda ci sporgiamo il più possibile aggrappandoci l’uno all’altro. Ci sporgiamo dal ciglio della cengia per scrutare nel baratro. Scagliamo un grosso sasso nel vuoto sotto i nostri piedi e lo sentiamo precipitare per quasi quaranta metri. Il nuovo pozzo, che dedico a Loretta, si chiamerà “Grande Feffù” (così la chiamavo scherzosamente quand’era in vita, ma non chiedetevi cosa significhi perché non l’abbiamo mai capito). Cominciamo ad attrezzarlo. Abbiamo ancora alcune decine di metri di corda nel sacco e decidiamo di arrivare più in basso possibile, non sicuri però che la corda possa bastare, anzi, siamo consapevoli del contrario, ma tentiamo. Pianto un fix con la residua energia dell’Uneo che si esaurisce in breve. Il foro però è sufficientemente lungo e l’infissione va a buon fine. Doc ancora la corda attorno ad un grosso masso. Ora l’attacco è doppiato. Racimolo tutti i cordini che abbiamo con noi. Ho deciso che scenderò il pozzo utilizzando solo ancoraggi naturali. Un azzardo? No! Una sfida? Neanche! Semplicemente provo sperando di riuscirci. Ecco quel che ci vuole. Individuo un robusto spuntone di roccia che si trova proprio nel posto giusto per frazionare e tentare di raggiungere il fondo del salto senza ulteriori attrezzamenti. Piazzo un anello di cordino intorno alla prominenza calcarea e fraziono. Sono pronto per la discesa, sotto di me il grandioso pozzo sembra sprofondare allargandosi in profondità. Potenza lampada al massimo, riesco a vedere tutto, proprio tutto, anche particolari lontanissimi. Dopo una ventina di metri di discesa raggiungo l’ennesima e ampia cengia. Finisco la corda da 50 metri appena appoggiati i piedi sulla gradonata. Posso comunque staccarmi comodamente dalla corda e mettermi in un posto riparato dall’eventuale caduta di sassi. Il “Grande Feffù” è bellissimo, grandioso. Doc e Poja mi raggiungono, poi arrivano anche Moreno e Francesco, manca solo Icio che ha preferito rimanere a Sala Befana a mangiucchiare. Scrutiamo tutti insieme nel vuoto e grazie alla mia lampada individuiamo un lontano nero portale. Oltre la cengia il “Grande Feffù” continua maestosamente per altri venti metri. Sondiamo lanciando pietre in continuazione e finalmente sentiamo quel che le nostre orecchie volevano sentire. Dalla base del pozzo, invasa da un enorme monolite, sentiamo i massi precipitare per parecchi metri in un nuovo vuoto verticale, assai profondo. Ci abbracciamo dandoci delle grandi pacche sulle spalle a vicenda. Ad un tratto mi accorgo che nella parte più larga del pozzone, proprio alla nostra altezza volano tre grandi esemplari di pipistrello che intercettati dal fascio luminoso della mia CREE scappano all’interno di una spaccatura a capofitto sul baratro, bellissimo spettacolo. L’ultima sorpresa della giornata è rappresentata da un bell’esemplare di Rana Agile che Mirco decide di portare a casa a suo figlio più piccolo, appassionato naturalista in erba. Che bella giornata abbiamo trascorso, emozionante davvero e ne siamo certi, molte altre arriveranno. Grazie Bintloch, continua così, non fermarti.

Kele Tommasi


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